sabato 28 marzo 2009

Lo capisco dalla mattina che questa non sarà una giornata liscia. l'invito della nonna a pranzo incombe già da qualche giorno, finora ignorato ma sempre presente. mi riprometto che tutto andrà bene, che non me ne devo preoccupare, ma una parte di me non può fingere; una parte di me sa che il senso di colpa è sempre dietro l'orlo del piatto, sul dorso delle mani, sotto l'ombra della forchetta. inutile farmi false promesse, non ho più il coraggio nè la forza x mentirmi ancora. arriivata nella cucina familiare e profumata d'infanzia e di pomeriggi felici, mentre mi riempio la bocca di banalità nei minuti che precedono l'arrivo degli altri invitati, non tento neppure di trattenermi. farebbe solo più male, sarebbe un colpo ancora più sordo per la mia autostima. ma ancora non sento niente. consapevole e allo stesso tempo ignara. tutte le visite al bagno, la porta chiusa, le orecchie attente al minimo segno dell'arrivo di mia madre, i cucchiaini di miele per placare il bruciore alla gola mi sembrano lontani e sbiaditi, apprtenenti a un'altra persona. il pranzo comincia e le mie due componenti non attendono altro per cominciare una lite furibonda. alla fine sembrano accordarsi: per oggi farò uno strappo, mi concederò di mangiare di tutto senza esagerare. le parole dei miei cugini, dei miei nonni e di mio fratello mi scivolano addosso e le mie risate allegre cercano di nascondere e allontanare la paura che mi divora dentro. mi sembra che ogni mia mossa venga osservata con attenzione, soppesata e infine condannata. ogni volta che allungo la mano per servirmi dalla zuppiera o dal piatto comune mi sento colpevole, sporca, come se stessi rubando a un cieco nel mezzo di una piazza affollata di sabato pomeriggio, sotto gli occhi accusatori di tutti. la strage inizia con una accellerazione di partenza che a stento controllo, ed ogni pezzo di cibo è dimenticato non appena oltrepassa la lingua e scende giù. terminato il pranzo sento la pancia dolermi, troppo piena ma ancora affamata. perchè quel mostriciattolo che ha ingoiato tutto il mio nutrimento non sta infondo allo stomaco, nè accanto alla lingua: sta molto più su, nelle vie contorte della mente, nei sentieri della ragione distorti e intricati. a questo punto non c'è niente che può davvero saziarmi, che può darmi pace, che metta fine a questa attesa interminabile. con qualche saluto sbrigfativo e una scusa generica mi congedo e appena apro il portone quasi corro in direzione della pasticceria. il tragitto fino a casa con una sfoglia alla crema in mano è solo un vago aquarello posto infondo alla coscenza. sola, in casa apro il frigorifero e senza più vergogna trangugio gli avanzi prima di passare al dolce che poi non basta e necessita ddi un ulteriore aggiunta. una mozzarella in carrozza, un pan di ramerino con marmellata di fragole, una banana con la nutella, tre fette di pan carrè con nutella vengono trangugiati dalla mia bocca avida mentre mi distraggo con la tv. tento di convincermi di non essere coscente di ciò che sto facendo, ma lo sono. finito l'ultimo boccone di pane, dalla palude sento salire un pensiero, come una bollicina sale veloce e arriva a galla. ciò che fino a qualche ora prima afvevo scartato sembra adesso incrredibilmente semplice e scontato. ciò che ogni volta prometto non farò mai più, ciò che mi disgusta perchè il gusto amaro del fallimento e l'acido della vergogna per me stessa....quello. i gesti che seguono sono ormai meccanici, quasi in trance spengo il televisore, mi alzo e mi dirigo verso il bagno. chiudo la porta e mi tolgo il braccialetto e l'anello. mio fratello nella stanza accanto, tornato da poco sta al computer e io non posso fare a meno di immaginare come possa sentirti, inconsapevole di ciò che accadrà a pochi metri da lui fra qualche minuto. ignaro di come un'ambizione, un desiderio possa logorarti, prenderti dal cielo e gettarti giù. apro il rubinetto e mi bagno l'indice e il medio della mano destra. un bel respiro e queste mie due fidate compagne scivolano giù per la gola e cominciano la triste e violenta danza di cui ormai sanno a memoria i passi. i risultati non si fanno aspettare, stavolta è andata bene, non ho dovuto insistere troppo. ogni rigetto mi induce a pulirmi le dita e a ricominciare. vuota, vuota, vuota. è questo l'unico pensiero che riesco a formulare. più roba uscirà più il mio senso di colpa mi concederà una tregua. alla fine, in uno scenario familiare mi alzo ansimante dalla posizione china sulla tazza. riporto indietro i capelli. mi lavo le mani e rinfilo anello e bracciale al loro posto, come se questi potessero mostrare al mondo la mia normalità, come se potessero nascondere i turbini che mi sconvolgono lo stomaco. e poi il desiderio, quasi supplicante di liberarmi di tutto questo.pulisco in fretta tutto quanto e tiro lo sciaquone. chiedo il computer a mio fratello e giunta qua, naufraga disperata mi accascio su questa spiaggia inesistente, in attesa che la vita riparta, con i sensi di colpa di domani, la dieta stretta dei giorni feriali e l'abbuffata del sabato pomeriggio. in attesa di un miracolo, correndo verso un tragurado immobile sulla linea dell'orizzonte che sembra non avvicinarsi mai nonostante le gambe mi dolgano dal gran correre e i piedi mi brucino per la strada appena percorsa, lastricata di speranze infrante.

1 commento:

  1. mi sembra di vedermi allo specchio, forse siamo più simili di quello che credevo ...

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