martedì 3 maggio 2011

Ferma davanti al cursore che lampeggia, in attesa. Assomigia un po' a me quel bastoncino nero che appare e scompare, a intermittenza, che attende lo svolgersi delle cose, sperando che tutto si risolva sempre da solo, che gli eventi seguano il loro corso senza bisogno di spinte. Un film in pausa, un disco impallato, aspetto che qualcuno prema di nuovo play e mi permetta di tornare a vivere, di tornare a credere che le cose belle esistono, che la bellezza di una complicità possa essere eterna, che non tutte le storie faranno questa fine (?). Non riesco quasi a pensarla questa parola, la fine che non si immagina mai e che piomba addosso all'improvviso, senza avvisare, e solo un attimo dopo capisci che l'immaginario al quale ti sei aggrappata fino a quel momento è solo un ricordo, che qualcosa si è spezzato nel passato. Tutta la stanchezza e la frustrazione di continui tentativi mal riusciti calano come un mantello e ti senti soffocare, fiaccata dalla mancanza di sbocchi, da quella coperta spessa che non sembra aver buchi per respirare, nè aperture dalle quali scappare.
E' stato così che ogni cosa è fuggita in un giorno, in un'ora, nell'attimo in cui i nostri visi, improvvisamente consapevoli, hanno perduto la luce, offuscati e sorpresi; nell'attimo in cui la porta dell'ascensore si è chiusa e il freddo del pavimento mi ha ricordato dov'ero.
Tu sei sempre dietro le mie spalle, ti percepisco, ma in realtà sei molto più lontano di così, sei laggiù in quell'ottobre soleggiato, in quel novembre tenero, non qua. Lontano come solo il passato sa essere, lontano come un sogno finito, come un ricordo felice. Eppure continuano a tormentarmi le immagini di noi, fermi alla tramvia, nel freddo avvolta in una giacca troppo grande, tu che fai bruciare una sigaretta mentre racconti i tuoi sogni in bianco e nero; noi che ridiamo, noi che facciamo ogni sera la stessa strada e una volta arrivati mangiamo soddisfatti le nostre crepes; io che mi faccio bella prima di uscire e tu che mi aspetti senza arrabbiarti mai; i pomeriggi sudati nella penombra di una camera stretta; l'emozione di uscire con il mio cavaliere, anche se il suo cavallo è un autobus e la sua reggia una pizzeria. Quando è che ci siamo dimenticati di chiudere il lucchetto di quell'equilibrio perfetto? Quando è che abbiamo cominciato a darci per scontato, a permettere che la stanchezza ci immobilizzasse nel cerchio infernale della routine? Come abbiamo potuto permettere che accadesse tutto questo, che la nostra immagine sbiadisse? Non mi sembra possibile, non può essere vero. Pretendo che tutto torni indietro, che le comparse si rimettano ai loro posti e che il regista ordini di ricominciare a girare, che le ultime scene siano tagliate e rifatte, pretendo un film di un certo livello, una vita che possa darsi questo nome, non gli attori semimuti che mi passano davanti adesso, dimentichi della loro parte come io della mia.

Me

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