giovedì 21 agosto 2014



"Ho vissuto molto, e ora credo di aver trovato cosa occorra per essere felice: una vita tranquilla, appartata, in campagna, con la possibilità di essere utile alle persone che si lasciano aiutare e che non sono abituate a ricevere, e un lavoro che si spera possa essere di qualche utilità, e poi riposo, natura, libri, musica, amore per il prossimo. Questa è la mia idea di felicità.
E poi, al di sopra di tutto, tu, per compagno, e dei figli forse. 
Cosa può desiderare di più il cuore di un uomo?"

sabato 2 agosto 2014

Un anno è volato, dall'ultimo agosto. E solo oggi me ne sono resa conto. Di quante cose sono successe, di quante cose ho fatto, di quanto sono cambiata. La fame, l'università, la solitudine costante, una persona nuova che ha cambiato tutto. Ho imparato a combattere ancora di più, a rimanere delusa e a ricominciare da capo, a essere testarda, costante, inarrestabile. Ho imparato a riconoscere la mia debolezza, la mia umanità in cammino. Ho imparato cosa significa sentirsi traditi, amati come la cosa più bella del mondo, dimenticati, cacciati. Ho imparato cosa significa il lavoro, la fatica, gli sforzi che non vengono ripagati e quelli che alla fine, in fondo alla corsa, vengono premiati. Sono io, sono me. E passo dopo passo si delinea la donna che cerco in me.
E ogni passo fa più paura, e ogni passo è più eccitante. E io nel mezzo a remarenella tempesta e nel tempo bello, posso solo farmi i complimenti, concedermi una carezza e ricordarmi che in tutto questo, la persona che ha fatto queste cose, che è arrivata fin qui, beh quella persona sono io.

giovedì 3 aprile 2014

Vuoto.

sabato 1 marzo 2014

Oggi è il primo giorno del tempo che ci resta.

sabato 8 febbraio 2014

FraMenti d'Amore


Ascolto,
quando canti.
La musica è diversa,
adesso canto.

Ci provo,
tu hai smesso.

Il coro non c'è.
Ascolto.
L'eco ancora vicino

[Movimento per l'emancipazione della poesia]

venerdì 7 febbraio 2014

domenica 2 febbraio 2014

FUGACITA' DELLA VITA UMANA: BIBBIA

"Anche per l'albero c'è una speranza: se tagliato potrà ancora germogliare e il suo virgulto non vien meno; se la radice invecchia nel terreno e il suo tronco perisce nel suolo, appena sente l'acqua rifiorisce e riproduce rami qual giovane pianta. Ma l'uomo muore e tutto finisce: spirato che sia, dov'è più? Possono venir meno le acque del mare, e il fiume può diventare arido e secco, ma l'uomo, se giace nella tomba, non si alza più. Si consumano i cieli ed egli non si desta, nè dal suo sonno più si risveglia."

Giobbe, 12,7-12

IL MALE NELLA BIBBIA

"Poichè non nasce dal suolo la sventura, nè la terra produce malanni; ma è l'uomo che genera la sofferenza, come le scintille che si innalzano dal fuoco."

Giobbe, 5,6-7
IL MALE IN LUCREZIO

Quod iam rerum ignorem primordia quae sint,
 hoc tamen ex ispsis caeli rationibus ausim
 confirmare aliisque ex rebus reddere multis,
 nequaquam nobis divinitus esse paratam
 naturam rerum: tanta stat praedita culpa.
 Principio quantum caeli tegit impetus ingens,
 inde avidam partem montes silvaeque ferarum
 possedere, tenet rupes vastaeque paludes
 et mare quod late terrarum distinet oras.
 Inde duas porro prope partis fervidus ardor
 assiduusque geli casus mortalibus aufert.
 Quod superest arvi, tamen id natura sua vi
 sentibus obtucat, ni vis humana resistat
 vitai causa valido consueta bidenti
 ingemere et terram pressis proscindere aratris.
 Si non fecundas vertentes vomere glebas
 terraique solum subigentes cimus et ortus,
 sponte sua nequeant liquidas exsistere in auras;
 et tamen interdum magno quaesita labore
 cum iam per terras frondent atque omnia florent,
 aut nimiis torret fervoribus aetherius sol
 aut subiti premunt imbres gelidaeque pruinae,
 flabraque ventorum violento turbine vexant.
 Praeterea genus horriferum natura ferarum
 humanae genti infestum terraque marique
 cur alit atque auget? Cur anni tempora morbos
 apportant? Quare mors immatura vagatur?
 Tum porro puer, ut saevis proiectus ab undis
 navita, nudus humi iacet, infans, indigus omni
 vitali auxilio, cum primum in luminis oras
 nixibus ex alvo matris natura profudit,
 vagituque locum lugubri complet, ut aequumst
 cui tantum in vita restet transire malorum.
 At variae crescunt pecudes armenta feraeque

 nec crepitacillis opus est nec cuiquam adhibendast
 alame nutricis blanda atque infracta loquella
 nec varias quaerunt vestis pro tempore caeli,
 denique non armis opus est, non moenibus altis,
 qui sua tutentur, quando omnibus omnia large
 tellus ipsa parit naturaque daedala rerum.

Ché, se pure ignorassi quali siano i primordi delle cose,
 ciò, tuttavia, dallo stesso comportarsi del cielo oserei
 asserire, e dimostrare in base a molti altri fatti,
 che assolutamente non per noi divinamente fu apprestata
 la natura del mondo: di cosí grande colpa è ricolma.
 Prima di tutto: di quanto è coperto dall’ampia estensione del cielo
 un’ingorda metà i monti e le selve abitate da fiere
 ne trattengono, o la dominano rupi o paludi deserte
 e il mare che a gran distanza separa le rive delle terre.
 Inoltre, ancora circa due terzi il torrido caldo
 e il cadere incessante del gelo strappa ai mortali.
 E quanto resta di terra, tuttavia, Natura con la sua forza
 ricoprirebbe di sterpi, se umana forza non s’opponesse,
 avvezza, per regger la vita, a gemere sul forte bidente,
 e a spezzare avanti a sé la terra con l’aratro schiacciato.
 Se, rovesciando le zolle feconde con il vomere, e rivoltando
 la superficie della terra non spingiamo i frutti alla nascita,
 spontaneamente non potrebbero sbociare nelle limpide aure;
 e pure, talvolta, ottenuti con grande fatica,
 quando già sulla terra sono pieni i raccolti di fronde e di fiori,
 o per onde eccessive di caldo li brucia il fulgido sole,
 o piogge improvvise e gelide brine li annientano,
 e soffi di vento, con turbinare violento, li scuotono.
 Inoltre: la stirpe delle belve, che incute paura,
 nemica al genere umano, per terra e per mare perché Natura
 nutre e fa crescere? Perché le stagioni dell’anno apportano
 morbi? Perché s’aggira Morte immatura?
 continuando: il bimbo, come navigante gettato da onde
 crudeli, nudo a terra giace, senza parola, bisognoso di ogni
 aiuto per vivere, ora che appena alle spiagge di luce
 con faticoso parto fuori dal ventre materno Natura ha gettato,
 e di luttuoso vagito riempie il luogo, come è giusto per lui
 cui tanti restano in vita mali da attraversare.
 Ma vari crescono gli animali, gli armenti, le fiere,
 né servono a loro sonagli da bimbi, né alcuno ha bisogno
 di dolce e infantile parlare di buona nutrice,
 né ricercano vestiti mutevoli secondo stagione del cielo:
 e infine non d’armi abbisognano, non di alte mura,
 con cui difendere le proprie cose, poiché per ognuno ogni cosa
 largamente produce la terra stessa, e Natura, artefice delle cose.



"When the New Yorker sent me to report on the trial of Eichmann, I assumed that the court of ... and only one it has to preface the demand of justice. This was not a simple task, because the court that Eichmann was confronted was a crime which could not find.... the criminal was like unknown in any court.... but still, the court had to define Eichamnn as man on trial for his ....there was no sistem on trial, no history, no "ism", not even entire... but only a person. This trouble thet he insisted on a renuncing personal qualities...contrary to the persecution ...nobody left... Had never done any sin....that he had no intentions, what so ever ... that he had only obeyed orders. This typical nazi plee makes it clear the the gratest evil in the ... is the evil committed by "nobodies", even committed by men... demonic
by human being who refuse to be persons and it is  ... a nominal, that I have called the "banality of evil".

- Miss Arendt, you're avoiding the most important part of the controversy, you claimed the less jews ... die
You blamed the jewesh people for cooperate...

- ..leaders .who participated directly in Eichmann's activities

- ... You blamed jewish people for their own destruction.

- I never blamed that jewesh people, and ..possible, but perhaps there is something in between resistance and cooperation, and only in that sense to I say that, maybe... might
It is profundly important to ask this questions, because ... of the jewish leaders gives the most striking... totality of moral collapse...nazi ... in the respectable european society, and not only in Germany, but in almost... countries,  ... and not only among the persecutors, but also among the victims.

[...]

Try to understand is not the same as forgiveness. I see it is my responsability to understand, it is responsability of anyone who ... this subject
Since Socrates and Plato the usually  ... thinking to be engaged in that silent dialogue between me and myself. In refusing to be a person, Eichmann ... that single most defining human quality that is ... able to think...and consequently  was no longer able....of making ... a judgement ... possibility for many ordinary man to committ even... never seen before .... I've considered this question in a philosophical way. The manifestation of the wind of ... is not knowledge, but ability to tell right from wrong, beautiful from ugly and I hope that thinking gives people the streght to prevent catastrophies in these real moments and the chips are ....

"In life you’ll realize that there is a purpose for everyone you meet. Some will test you, some will use you and some will teach you. But most importantly, some will bring out the best in you."

sabato 1 febbraio 2014

Come un albero sardo,
divelto, strappato,
che, nonostante il formidabile vento,
permane
in piedi
senza aiuto alcuno
poichè unico e solo nella steppa
ancorato al suolo con radici paterne
granitico
incrollabile
eterno.

[Movimento per l'emancipazione della poesia]
"Oggi è il primo giorno del tempo che ci resta"

giovedì 30 gennaio 2014

E' notte. E' buio. Fuori dalla finestra piove a dirotto. In una strada tranquilla vicino all'Arno c'è un bell'hotel con il parquet di un colore caldo nelle stanze. E dentro a quell'hotel, in una stanza al terzo piano ci sono due persone. Due persone. Che stanno. Facendo l'amore. Sì, con questa lentezza. Le luci sono spente, non c'è bisogno di vedere per conoscere ogni profilo, ogni spigolo, ogni morbidezza. Non c'è bisogno di luce per guardarsi dentro. Non sono un ragazzo e una ragazza, non sono un uomo e una donna, non sono un'anziano e un'anziana e non sono neppure due bambini. Sono tutte queste cose insieme. Sono fuori dal tempo. La notte è inoltrata ma la stanchezza è un'altra cosa. L'ora è tarda, ma esiste davvero l'ora? Che ore sono? Non lo so. Non è importante. Sono lui e lei. E nient'altro.
Non fingono, non barano, non voltano il viso mentre gli sfugge un pensiero lontano. Loro sono lì, esattamente lì e basta. Sono nudi, sì, non solo i loro corpi. Sono nude le loro anime, nudi i loro volti, nudi gli occhi, senza più difesa, senza più bisogno di difendersi. I loro cuori sono ferite aperte, esposte, pulsanti. Ma non hanno paura, lui, lei, non possono farsi del male. Lui, lei, si prendono cura l'uno dell'altro. E sentono, secondo per secondo, i loro nuclei più profondi fondersi e mescolarsi l'uno nell'altro, le loro paure, le loro speranze scambiarsi come la saliva di ogni bacio. E sono travolti, come un fiume imponente che rompe una diga e che passa sopra ogni cosa. Travolti dalla grandezza, travolti dalla bellezza, travolti dalla vita. Che non bussa quando arriva: apre la porta con un calcio senza tante cerimonie e ti porta a ballare. E tutto è lontano, lontano come il deserto, lontano come l'antartico, come il cielo estivo, come il fondo dell'universo.
Il mondo è compresso in una stanza sola. Perchè come può esserci altro fuori di lì? Come può esserci altra vita, ancora vita? Come è possibile concepire altra bellezza più luminosa, altra estasi più dirompente? Eppure c'è, C'è di sicuro. Fuori da quella stanza, da quell'hotel, oltre la strada silenziosa c'è il futuro. Il futuro che li aspetta placido, sonnacchioso, sereno. Il futuro adesso è un nastro d'argento, una strada bagnata dal sole, un filo di Arianna che porta lontanissimo un passo per volta.
E sta tutto lì, in questo futuro dipinto ad acquerello. Stanno lì tutte le giornate di sole, tutti i pomeriggi di pioggia, tutti i silenzi, le risate, le conversazioni, le vacanze, il sesso, l'allegria, la pienezza, l'assenza. Sta lì una casetta di poche stanze, un paio di scarpine rosa, stanno lì gli anniversari, i compleanni, le cene in famiglia, i Natali con l'albero festoso, le Pasque dai nonni.
Il futuro adesso è un nastro d'argento, una strada bagnata dal sole, un filo di Arianna che porta lontanissimo un passo per volta.
- Abbiamo una tabella di marcia da rispettare...
- Abbiamo una vita da vivere!
Ho vent'anni. Sono felice. Sono innamorata pazza. E voglio ricordare tutto questo per tutto il resto della mia vita, voglio ricordare che a vent'anni ero una ragazza felice, una quasi-donna soddisfatta pienamente e grata all'universo. In un modo che è diverso e amplificato rispetto a tutti i momenti felici passati. Cerca di volerti bene, Lisa, perchè ne sei capace e puoi essere felice.

sabato 25 gennaio 2014

mercoledì 22 gennaio 2014

"Ill show you mine, if you show me your first.
Let's compare scars, I'll tell you whose is worse."
"Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.
L’indifferenza è il peso morto della storia. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l’intelligenza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo?

Odio gli indifferenti anche per questo: perché mi dà fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti. Chiedo conto a ognuno di loro del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime.

Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti”.

Antonio Gramsci (Ales, 22 gennaio 1891 – Roma, 27 aprile 1937)

lunedì 20 gennaio 2014

"L'isola

Tutti sanno che Odisseo naufrago, sulla via del ritorno,
restò nove anni sull'isola Ogigia,
dove non c'era che Calipso,
antica dea.

Calipso = Odisseo, non c'è nulla di molto diverso.
Anche tu come me vuoi fermarti su un'isola.
Hai veduto e patito ogni cosa.
Io forse un giorno ti dirò quel che ho patito.
Tutti e due siamo stanchi di un grosso destino.
Perchè continuare ?
Che t'importa che l'isola non sia quella che cercavi ?
Qui mai nulla succede.
C'è un po' di terra e un orizzonte.
Qui puoi vivere sempre.

Odisseo = Una vita immortale.

Calipso = Immortale è chi accetta l'istante.
Chi non conosce più un domani. Ma se ti piace la parola,dilla.

Tu sei davvero a questo punto?

Odisseo = Io credevo immortale chi non teme la morte.

Calipso = Chi non spera di vivere. Certo, quasi lo sei. Hai patito molto anche tu.
Ma perchè questa smania di tornartene a casa?
Sei ancora inquieto? Perchè i discorsi che vai
Facendo tra gli scogli?

Odisseo = Se domani io partissi tu saresti felice?

Calipso = Vuoi saper troppo, caro. Diciamo che sono immortale.
Ma se tu non rinunci ai tuoi ricordi e ai sogni,
se non deponi la smania e non accetti l'orizzonte,
non uscirai da quel destino che conosci.

Odisseo = Si tratta sempre di accettare un orizzonte.
E ottenere che cosa ?

Calipso = Ma posare la testa e tacere, Odisseo. Ti sei
mai chiesto dove vanno i vecchi dei che il mondo ignora?
Perchè sprofondano nel tempo, come le pietre nella terra,
loro che pure sono eterni. E chi son io, chi è Calipso?

Odisseo = TI ho chiesto se sei felice.

Calipso = Non è questo, Odisseo
L'aria, anche l'aria di quest'isola deserta,
che adesso vibra solamente dei rimbombi del mare
e di stridi di uccelli, è troppo vuota. In questo vuoto non c'è nulla da rimpiangere, bada.
Ma non senti anche tu certi giorni un silenzio,
un arresto, che è come la traccia
di un'antica tensione e presenza scomparse ?

Odisseo = Dunque anche tu parli agli scogli ?

Calipso = E' un silenzio, ti dico.
Una cosa remota e quasi morta.
Quello che è stato e non sarà mai più.
Nel vecchio mondo degli dei quando un mio gesto era destino.
Ebbi nomi paurosi, Odisseo. La terra e il mare ma obbedivano.
Poi mi stancai; passò del tempo, non mi volli più muovere.
Qualcuna di noi resistè ai nuovi dei; lasciai che
i nomi sprofondassero nel tempo; tutto mutò e rimase
uguale; non valeva la pena di contendere ai nuovi il destino.
Ormai sapevo il mio orizzonte e perchè i vecchi
non avevano conteso con noialtri.

Odisseo = Ma non eri immortale?

Calipso = E lo sono, Odisseo. Di morire non spero.
E non spero di vivere.
Accetto l'istante. Voi mortali vi attende qualcosa di simile,
la vecchiezza e il rimpianto.
Perchè non vuoi posare il capo
con me, su quest'isola?

Odisseo = Lo farei, se credessi che sei rassegnata.
Ma anche tu che sei stata signora di tutte le cose,
hai bisogno di me, di un mortale,
per aiutarti a sopportare.

Calipso = E' un reciproco bene, Odisseo.
Non c'è vero silenzio se non condiviso.

Odisseo = Non ti basta che sono con te quest'oggi ?

Calipso = Non sei con me, Odisseo.
Tu non accetti l'orizzonte di quest'isola.
E non sfuggi al rimpianto.

Odisseo = Quel che rimpiango
è la parte viva di me stesso come di te il tuo silenzio.
Che cosa è mutato per te da quel giorno
che terra e mare ti obbedivano ? Hai sentito ch'eri sola e che
eri stanca e scordato i tuoi nomi. Nulla ti è stato tolto.
Quello che sei l'hai voluto.

Calipso = Quello che sono è quasi nulla, caro.
Quasi mortale, quasi un'ombra come te.
E' un lungo sonno cominciato chissà quando
e tu sei giunto in questo sonno come un sogno.
Temo l'alba, il risveglio; se tu vai via, è il risveglio.

Odisseo = Sei tu, la signora, che parli ?

Calipso = Temo il risveglio, come tu temi la morte.
Ecco, prima ero morta, ora lo so.
Non restava di me su quest'isola
che la voce del mare e del vento.
Oh non era un patire. Dormivo.
Ma da quando sei giunto
hai portato un'altr'isola in te.

Odisseo = Da troppo tempo la cerco.
Tu non sai quel che sia avvistare una terra
e socchiudere gli occhi ogni volta per illudersi.
Io non posso accettare e tacere.

Calipso = Eppure, Odisseo,
voi uomini dite che ritrovare quel che si è perduto
è sempre un male. Il passato non torna.
Nulla regge all'andare del tempo.
Tu che hai visto l'Oceano, i mostri e l'Eliso,
potrai ancora riconoscere le case, le tue case ?

Odisseo = Tu stessa hai detto che porto l'isola in me.

Calipso = Oh mutata, perduta, un silenzio.
L'eco di un mare tra scogli e un po' di fumo.
Con te nessuno potrà condividerla.
Le case saranno come il viso di un vecchio.
Le tue parole avranno un senso altro dal loro.
Sarai più solo che nel mare.

Odisseo = Saprò almeno che devo fermarmi.

Calipso = Non vale la pena, Odisseo.
Chi non si ferma adesso, non si ferma mai più.
Quello che fai, lo farai sempre.
Devi rompere una volta il destino,
devi uscire di strada,
e lasciarti affondare nel tempo.

Odisseo = Non sono immortale.

Calipso = Lo sarai se mi ascolti.
Che cos'è la vita eterna
se non questo accettare l'istante che va ?
L'ebbrezza, il piacere, la morte non hanno altro scopo. 
Cos'è stato finora il tuo errare inquieto ?

Odisseo = Se lo sapessi avrei già smesso.
Ma tu dimentichi qualcosa.

Calipso = Dimmi.

Odisseo = Quello che cerco l'ho nel cuore, come te."

[Pavese, Dialoghi con Leucò]

martedì 14 gennaio 2014

"La vita comincia dove finisce la paura."

lunedì 13 gennaio 2014

http://ilnuovomondodigalatea.wordpress.com/2009/07/06/il-complesso-di-didone-ma-perche-le-donne-toste-perdono-la-testa-per-gli-enea/

"Didone, per esempio, bravo chi la capisce. Io non ci sono mai riuscita. Ogni volta che prendo in mano l’Eneide mi piglia uno di quegli intorcoli di stomaco che solo la rabbia genera, quando non la puoi sfogare.

Ma come, dico io, benedetta figliola! Hai tutto. Ma tutto tutto, proprio tutto quello che una donna, se ha un briciolo di sale in zucca, può desiderare.

Sei bella. Non come una velinetta da strapazzo, di quelle che sono pezzi di carne buttati lì, con le poppe al vento ed una espressione stolida sulla faccia che nessun chirurgo estetico può cancellare. No, bella bella, perché hai una certa età, ma sei ancora giovane e piacente, e si presume con negli occhi quella luce di intelligenza mista a consapevolezza che hanno le donne con una testa sulle spalle e un passato nel cuore. Sei più che bella, insomma, perché non è solo una questione di avere una certa misura di décolleté, la bellezza, o una certa età anagrafica, o una ruga in più o in meno: la vera bellezza è questione di fascino. E tu, Didone, lasciatelo dire, dovevi averne a secchi e sporte.

Poi hai carattere. Ma di quelli tosti. Vedova d’un uomo che hai amato, ma che, con delicato buon senso, è morto in fretta, lasciandoti libera e regina, narra la leggenda che mica ti sei messa addosso il velo della sposa in gramaglie e via a frignare. No, tu eri proprio regina e proprio libera di testa. Tanto è vero che, quando tuo cognato – perché gli uomini migliori han sempre fratelli stronzi? Anche questo è un grande interrogativo della storia! – viene lì tomo tomo cacchio cacchio a proporti un “accomodamento” per conservare una forma di potere regale anche dopo che il re tuo marito è defunto, e cioè di sposare lui e farlo diventare l’uomo di casa e il padrone della città, reagisci come una che sulla testa ha una corona, ma non per il caso fortuito d’aver sposato un principe regnante. Fra il diventare schiava, seppur sotto il paramento di un matrimonio legittimo, di un uomo che detesti, e il rischio di partire verso l’ignoto, non hai un attimo di esitazione: parti. Generazioni di donne, prima e dopo di te, si sarebbero rassegnate ad invecchiare in stanze buie, nella tristezza della quotidiana violenza e dell’indifferenza, pur di conservare o di riacquistare il nome di spose. Tu no: prendi e vai via, portandoti dietro quel poco che serve e chi ti è fedele.

Fondi una città. Nel mondo antico le donne non fondano città. Neppure se siamo nel mito. Le donne, ben che vada, accompagnano i fondatori. Anzi, nella prassi comune, al massimo al massimo si fanno rapire dai medesimi, dopo che hanno fondato. Tu no: sbarchi, ti guardi in giro con l’occhio clinico che oggi le principesse usano, nel migliore dei casi, per scegliere il luogo dove edificare la casa per le vacanze, e dici, con il medesimo tono: voglio quel posto lì. Il re di quel posto lì ride, anzi ghigna: lui in quel posto lì non ci ha mai visto altro che una palude nei pressi del mare, con una baia tonda, mezza chiusa dai detriti: a che mai può servire? Ma tu t’incaponisci: no, no, proprio quello. Lui ti guarda, sempre ghignando, perché ha deciso che è un capriccio da donnetta, una mattana, del resto che ne possono sapere le donne di dove si fonda una città, andiamo. Così sorridendo, fa un cenno di capo condiscendente, e ti propone ciò che sempre si propone ad una donna: “Vabbe’ lo vuoi? Allora mi sposi e quel posto lì te lo regalo.”

Ma tu di matrimoni e di mariti, e di proposte, ne hai già avuti più di quanti te ne servivano, quindi gli ribatti: “Ma no, facciamo un bel contratto, come se fossi un uomo. Io prendo una pelle di bue e tu mi regali tutta la terra che può contenere.”

Non solo è una donna, ma è anche ben scema, pensa il re locale, e qui il ghigno si spande tanto sulla faccia che, se non gli mettevano le orecchie a fermarlo, il sorriso gli spaccava la testa a mezzo. Tu sorridi di rimando, e, con l’anda di una Grace Kelly, stipulato il patto cominci a tagliare la pelle a striscioline, ma così sottili, così sottili, che, alla fine, a stenderle per terra ti sei presa tutto il promontorio che t’interessa, e il porto, e anche un po’ di campi attorno, mentre al re locale il sorriso di sufficienza si è trasformato in rictus, perché farsi fregare è già duro, ma da una donna, e bella, è uno smacco che non gli perdoneranno più.

Quindi, via, a costruire. Una città. E mica una qualsiasi. Cartagine, quella che, nata dal sogno di una femmina, sarà regina anche lei, di ogni rotta commerciale. La palude, tu l’avevi intuito, diventa un meraviglioso porto. Nascosto agli occhi indiscreti, proprio perché si apre in quello stagno tondo collegato con un canale che, alla bisogna, si può chiudere per impedire l’accesso ai nemici: è un luogo strategicamente meraviglioso, sì, proprio quel posto lì, dove il buzzurro capotribù vedeva solo una barena costiera senza utilizzo.

Ora, dico io, Didone mia, ragioniamo: sei bella, sei affascinante, e sei pure più intelligente di ogni uomo che hai incrociato nella tua vita. Spiegami, perché Enea? Ma Santi numi di tutto l’Olimpo fenicio e greco in seduta plenaria, che diavolo ci hai visto in lui per perderci così la testa? Caruccio, vabbe’, ma neanche un Paride; eroe, ok, ma di secondo piano. Con la mamma dea, siam d’accordo, ma una suocera così è più una rogna che un bonus: già quelle mortali, sopportale, figuriamoci quelle divine, te le raccomando.

Ti arriva alla reggia che ha sì e no una nave, pieno di fame, di un vago passato pieno di disgrazie, di un futuro che definire incerto è un atto di ingiustificato ottimismo, senza progetti, senza appoggi, sballottato dal Fato, va bene, ma forse anche da un carattere che è tutto un dubbio ed un ripensamento. E tu, che hai congedato senza un rimpianto fior di principi e ti sei salvata da squali ben più pericolosi, a questo tizio cadi ai piedi così, senza un fiato: non fa tempo ad entrare alla reggia che pàffete, per terra, non ti si ripiglia più.

Lo ami. E lui anche, magari, ma è tutto un tira e molla. E i rimorsi per la moglie perduta. E il figliolo che sta sempre tra le palle. E la mamma, la mamma, che preme, e trama, e suggerisce e controlla. Tu, che hai sempre avuto il piglio della donna manager, non ti sei mai fatta dire nulla e hai dato sempre i tempi tu, a tutto, vai nel pallone completo. Questi fanno, disfano, si insediano alla reggia, si sentono a casa loro, e tu non fai un piego, anzi, con il sorriso sulle labbra, prego s’accomodi, le servo anche un the? Non sei più regina, sei uno straccio. Perché poi non è neanche la fatica di star dietro a tutti ‘sti casini: a quelli, diciamolo, ci sei abituata, un po’ d’organizzazione e se ne vien fuori a testa alta, anzi fresca come un fiore. No, chi ti manda ai matti è proprio lui, che c’è, ma non c’è mai, o almeno non del tutto. Che non lo capisci. Sta lì, sul balcone, con lo sguardo misura l’infinito, ma non sai se è perché lo rimpiange, lo rincorre, se ne vuole andare. E quando gli chiedi: “Ma che hai?” ti risponde: “Niente”, con l’aria però di chi ha qualcosa, ma non te lo vuole dire. Ci fosse una casa, come per Ulisse, a cui brama tornare, o una donna, come Penelope, che lo aspetta, capiresti. Ti regoleresti di conseguenza. Almeno sapresti contro cosa combatti. Ma non c’è nulla, tranne la sua tristezza infinita, muta, senza motivo, a cui non ti lascia avvicinare. È un vuoto che lo rosica da dentro, e non si può colmare, lo tormenta, ma non abbastanza da sfociare in qualcosa di serio: resta sempre a mezz’aria, inespresso, se ne vergogna un po’ anche lui, ma non lo affronta mai, anzi ci si crogiola.

Tu sei lì, cazzo, ti sbatti come una dannata per farlo felice, e lui pare che a esserlo lo sia per fare un favore a te, e nel fondo degli occhi quasi gli leggi persino un rimprovero perché non lo lasci essere infelice in santa pace.

Non sono cattivi gli uomini come Enea. Magari! Dai cattivi ci si difende. Sono i bravi ragazzi che ti rovinano la vita. Quelli a cui non ti riesce di dire il vaffanculo che meritano. Ci soffri, santi dei quanto ci soffri, a sentirti sempre tenuta sulla porta dell’anima e mai invitata ad entrare davvero; ti chiedi se ti ama, ti rispondi che sì, ma come può amare lui, cioè nei tempi morti in cui non sta a soffrire per se stesso; tu che hai sempre risolto ogni problema, e salvato tutti, non concepisci di non riuscire a salvare lui, che è in fondo l’unico a cui tieni. Più passa il tempo e più ti annulli, perché speri così di dimostrargli che non si deve sentire un fallito, e anche che tu sei una donna proprio come tutte le altre, anche se regina: bisognosa di un uomo che le stia accanto, a cui far da compagna, e anche un po’ da mamma, e da amica. Bisognosa di riversare su qualcuno tutta la tenerezza infinita che devi nascondere quando tratti gli affari di stato, perché poter essere finalmente dolce e materna, per una donna costretta a vivere in un mondo di maschi, è riposante, è come giocare con le bambole, fa tornar bambina.

Oddio Didone, quando ti leggo e vedo che sei a questo punto, mi piglia l’ansia: so a naso che siamo ad un passo dalla fine, è una storia che ha scritto tragedia da tutte le parti. Mi verrebbe da gridarti: via, scappa, salvati, lascialo perdere! Guai ad affezionarsi ad uomini così, sono una jattura! Sii ancora una volta intelligente, o almeno furba, e mollalo a cucinare nel suo brodo. Non vogliono essere salvati, quelli così: nel loro dolore ci stanno benissimo, come in una cuccia. Se lo sono costruito come un rifugio. Credono di vivere un grande dramma esistenziale, ma il loro dramma è in realtà una comunissima vita, con le sue batoste: sono loro che, a furia di fisime, la trasfigurano in una tragedia senza eguali, di cui però scaricano il vero peso a chi sta loro intorno, e alla fine ne escono sempre puliti, con un’aria di vaga melanconia molto chic.

Non te lo grido, naturalmente, e tu non potresti sentirmi. Così rotoli verso il disastro, che arriva puntuale. Lui, codardo come un uomo, scappa, di nascosto. Con l’alibi di non farti soffrire e di essere chiamato a doveri più grandi. Perché non ha nemmeno le palle di dirtelo in faccia, in realtà. Dirlo significherebbe ammettere che ha una qualche responsabilità in come gestisce la sua vita: che sono le sue scelte, non il fato o la sfiga a trasformarlo in ciò che è, perché non c’è nulla al mondo, in verità, che ci costringa a fare qualcosa se davvero non vogliamo.

E tu ti senti morta. Morta dentro. Di botto, senza un avviso di chiamata. Non c’è più niente intorno, e dentro solo il vuoto. Perché a lui hai dato tutto, e non è rimasto più nulla per te. Ti resta solo la spada, che carezzi prima di salire su una pira funebre: sei sempre organizzata, tu, mica lasci l’incombenza del tuo funerale agli altri che verranno. E ti ammazzi, lanciando maledizioni: sai che quelle non colpiranno, ma speri che almeno la fama della tua morte offuschi un po’ quell’aura da bravo figliolo ligio e sfortunato che è l’unica cosa a cui lui tiene veramente, perché oltre a quel ruolo non ha altro, e mai null’altro avrà.

Didone, non si fa così, ecchecazzo. Ogni volta che finisco il canto piango, ma mica per quella stupidaggine dell’amore romantico o del destino avverso. Piango perché, porca di una miseria, non ci si può lasciar ridurre così dal primo cretino che passa.

Sogno una Didoneide che ti renda finalmente giustizia, in cui lui ti abbandona, ma tu lo guardi andar via dalla terrazza della reggia con un sorriso pacato, finalmente conscia che il suo destino, sì, è quello di andar nel Lazio, e vada; anzi ti dispiace solo per quella povera disgraziata di Lavinia, che si dovrà sopportare pupo, suocera, amici e soprattutto lui, per invecchiare insieme con la sua tristezza cronica e la conversazione da sbadiglio. E mentre la nave si allontana all’orizzonte, di nuovo libera e di nuovo regina, convochi un bell’ufficiale della guardia, scattante e muscoloso, perché c’è da fare una ispezione al porto e contrattare le rotte con gli Etruschi, e rinnovare i sofà della reggia, programmare la rappresentazione teatrale per la sera… e la vita va avanti meglio senza quella lagna di Enea, su."

venerdì 10 gennaio 2014

"Sono le persone i veri luoghi nei quali fermarsi. Patrie da difendere a case da abitare."

E' sconvolgente, a pensarci la profondità di questa frase. Ti toglie il fiato poi, verificare che ciò è nascosto tra le pieghe della realtà, non è solo una frase, un aforisma, è raro, ma è vero, può essere vero, ti rendi conto?

giovedì 9 gennaio 2014

Per quanto tu possa essere bravo, per quanto tu possa essere furbo, le cose non sono mai come la nostra mente le vede, come la nostra capacità di analisi le viviseziona. Puoi essere sicuro di avere la mano migliore del tavolo. Ma non è così. Puoi credere di essere il migliore a giocare, puoi crederlo anche per tutta la partita. Ma non è così. Le nostre previsioni, insomma, che lo crediamo o no, fanno acqua da tutte le parti. E spesso lo capiamo solo dopo. Dopo, a distanza di tempo. Quando le vediamo con un certo distacco, eppure, non sufficiente perchè i nostri errori di analisi non ci facciano soffrire.
Abbiamo la bocca larga, le mani bucate e la faccia di bronzo nella maggior parte del tempo con la maggior parte delle persone. E ce ne pentiamo solo quando comprendiamo che il nostro comportamento le fa soffrire.
Siamo cresciuti, siamo maturati, alcuni di noi hanno anche la barba adesso, siamo uomini, mica ragazzini! Eppure facciamo sempre, irrimediabilmente gli stessi errori. Dimentichiamo il rispetto per gli altri, dimentichiamo il rispetto per noi stessi.
Vorrei essere forte, più forte di così. Vorrei essere matura, più matura di così. Vorrei essere grande per davvero, e comprendere, e lasciar andare il dolore dietro le spalle, vorrei essere ciò che sono a sufficienza da non farmi tangere dalle miserie altrui. Eppure. Eppure, per quanto io ci provi con ogni mia fibra, ho ancora della strada da fare. E' la strada che porta al perdono, è la strada che abbandona l'autolesionismo, di ogni tipo per un autentico e sincero amore per me stessa.
Se fossi già laggiù cancellerei quei messaggi, invece che rileggerli, se fossi là adesso me ne andrei a letto e permetterei alla mia mente di deviare da tali pensieri, smetterei di farmi domande che portano solo a risposte più dolorose. Se fossi davvero la persona che diventerò (perchè sì, bisogna crederci in se stessi per diventare ciò che siamo destinati ad essere) saprei lasciar andare il passato, vicino o lontano. Saprei liberarmene con una scrollatina delle spalle, come ci si libera di un coriandolo rimasto impigliato tra la sciarpa e il cappotto. Dire che il passato è passato, che non lo si cambia, che l'importante è il presente, il presente e nient'altro.
Se vogliamo le cose grandi, ragazzi miei, dobbiamo essere noi i primi a essere grandi, altrimenti come biasimare le rose se hanno paura? Per oggi è sufficiente, un altro passo è fatto, oggi la mia prova l'ho superata. Ad ogni giorno la sua fatica.

lunedì 6 gennaio 2014

Ci sono delle difficoltà, ma. La frase potrebbe finire anche così, e credo che capiresti tutto quello che viene dopo quel ma. Una frase così, aperta, esprime un mondo. La particella avversativa "ma" è l'ingresso di tutto ciò che non ritenevi possibile, di tutte le cose che stavano nascoste dietro le frasi normali. "Questo è vero, ma". E' il punto di vista che non avevi considerato. E' grazie a un "ma" che abbiamo quello che abbiamo.

domenica 5 gennaio 2014

"Ma con te non mi comporto in modo logico: solo in modo follemente logico. E non voglio nemmeno aspettare, perchè il tempo con te è diverso. E' circolare, e ogni momento si trova esattamente alla stessa distanza dal centro. Non mi scuso neppure se ti ho messo in imbarazzo. La nostra non è una conversazione da salotto. Con te ritrarsi è un delitto."

[Che tu sia per me il coltello, Grossman]

venerdì 3 gennaio 2014

"Avrei potuto saltare da una moto sopra un treno in corsa per te", era questa la sensazione in quel momento. questo solo mi è chiaro adesso, che cerco di ricostruire la giornata, che cerco di dare a me stessa delle coordinate di noi due. Ho voglia di scriverti, di spiegarti, anche se non ce n'è bisogno, anche se sai già: è bello sentirselo dire per te, è bello dirtelo per me. Perciò non cercherò di dare un ordine alle mie parole e, se possibile, tenterò di non cancellare, di non tornare indietro, di non cambiare le frasi. Ho bisogno di dirtelo adesso, a caldo, perchè lo stato in cui sono ora è un dono, una meraviglia che non si prova spesso, che merita di essere fermata in qualche modo: "so che queste un giorno diventeranno delle storie e che le nostre immagini diventeranno vecchie fotografie, e noi diventeremo il padre o la madre di qualcuno ma qui, adesso: questi momenti non sono storie, questo momento sta succedendo, io sono qui, e sto guardando lei, ed è bellissima." oOgi è stato bellissimo, oggi sono stata bene tutto il tempo, in alcuni momenti sono stata felice, felice ti rendi conto? Quando mai uno lo è davvero? Non voglio fare niente di particolare, niente di strano, di favoloso con te, o meglio lo voglio fare, ma ora come ora mi basta averti, saperti mio, come ti piace sentirti ripetere. e non mio nel senso che lo sei ufficialmente, sei mio perchè io ti voglio davvero e lo sento, mio non perchè tu non possa andartene, ma perchè puoi sempre tornare da me, mio perchè quando ci guardiamo in silenzio, come oggi al bar dopo il caffè, si sente nello sguardo, nell'assenza di parole. Mi basta stare con te, che mi sia concessa qualche ora, un letto e una coperta, una sigaretta e un po' di schiacciata per avere tutto, anche se dura solo un po', anche se poi finisce tutto e suona la sveglia. Perchè quando mi guardi, nella penombra io non vedo i tuoi occhi, ma sento il tuo sguardo. e le tue parole, sussurrate come se venissero da un altro luogo, da un altro tempo, diventano le parole esatte, che aspetti da sempre dalla persona giusta. E la mia pelle, il mio corpo si crea sotto il tocco delle tue mani, come argilla modellata da un vasaio. Non sapevo di avere labbra prima di baciarti i capelli, o di avere mani, fin quando non hanno toccato te, o di avere una fronte, finchè non l'ho appoggiata sulla tua, con gli occhi chiusi, premendoti la mano sulla nuca per sentirti più vicino, per dirti in silenzio tutte le cose che non riesco nemmeno a formulare nei miei pensieri, tutte le sensazioni e le speranze; tutti i ti amo che non pronuncio, sono lì, tra le nostre fronti che si toccano. Mi viene voglia di piangere, mi vien voglia di correre e di cantare, di fare l'amore ancora e ancora fino ad addormentarsi stremati, di mettersi in pigiama e gironzolare per casa, di farti il budino alla vaniglia, di andare a prendere il gelato sul lungarno, di sedersi per stare in silenzio, di camminare col tuo braccio sulla spalla e di baciarti la mano. Mi viene voglia di essere lì, di essere per te, di aiutarti e consolarti quando le giornate sono pesanti, di aspettarti a casa con un sorriso, di fare colazione insieme, mi viene voglia di amarti.

Me

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