domenica 2 febbraio 2014

IL MALE IN LUCREZIO

Quod iam rerum ignorem primordia quae sint,
 hoc tamen ex ispsis caeli rationibus ausim
 confirmare aliisque ex rebus reddere multis,
 nequaquam nobis divinitus esse paratam
 naturam rerum: tanta stat praedita culpa.
 Principio quantum caeli tegit impetus ingens,
 inde avidam partem montes silvaeque ferarum
 possedere, tenet rupes vastaeque paludes
 et mare quod late terrarum distinet oras.
 Inde duas porro prope partis fervidus ardor
 assiduusque geli casus mortalibus aufert.
 Quod superest arvi, tamen id natura sua vi
 sentibus obtucat, ni vis humana resistat
 vitai causa valido consueta bidenti
 ingemere et terram pressis proscindere aratris.
 Si non fecundas vertentes vomere glebas
 terraique solum subigentes cimus et ortus,
 sponte sua nequeant liquidas exsistere in auras;
 et tamen interdum magno quaesita labore
 cum iam per terras frondent atque omnia florent,
 aut nimiis torret fervoribus aetherius sol
 aut subiti premunt imbres gelidaeque pruinae,
 flabraque ventorum violento turbine vexant.
 Praeterea genus horriferum natura ferarum
 humanae genti infestum terraque marique
 cur alit atque auget? Cur anni tempora morbos
 apportant? Quare mors immatura vagatur?
 Tum porro puer, ut saevis proiectus ab undis
 navita, nudus humi iacet, infans, indigus omni
 vitali auxilio, cum primum in luminis oras
 nixibus ex alvo matris natura profudit,
 vagituque locum lugubri complet, ut aequumst
 cui tantum in vita restet transire malorum.
 At variae crescunt pecudes armenta feraeque

 nec crepitacillis opus est nec cuiquam adhibendast
 alame nutricis blanda atque infracta loquella
 nec varias quaerunt vestis pro tempore caeli,
 denique non armis opus est, non moenibus altis,
 qui sua tutentur, quando omnibus omnia large
 tellus ipsa parit naturaque daedala rerum.

Ché, se pure ignorassi quali siano i primordi delle cose,
 ciò, tuttavia, dallo stesso comportarsi del cielo oserei
 asserire, e dimostrare in base a molti altri fatti,
 che assolutamente non per noi divinamente fu apprestata
 la natura del mondo: di cosí grande colpa è ricolma.
 Prima di tutto: di quanto è coperto dall’ampia estensione del cielo
 un’ingorda metà i monti e le selve abitate da fiere
 ne trattengono, o la dominano rupi o paludi deserte
 e il mare che a gran distanza separa le rive delle terre.
 Inoltre, ancora circa due terzi il torrido caldo
 e il cadere incessante del gelo strappa ai mortali.
 E quanto resta di terra, tuttavia, Natura con la sua forza
 ricoprirebbe di sterpi, se umana forza non s’opponesse,
 avvezza, per regger la vita, a gemere sul forte bidente,
 e a spezzare avanti a sé la terra con l’aratro schiacciato.
 Se, rovesciando le zolle feconde con il vomere, e rivoltando
 la superficie della terra non spingiamo i frutti alla nascita,
 spontaneamente non potrebbero sbociare nelle limpide aure;
 e pure, talvolta, ottenuti con grande fatica,
 quando già sulla terra sono pieni i raccolti di fronde e di fiori,
 o per onde eccessive di caldo li brucia il fulgido sole,
 o piogge improvvise e gelide brine li annientano,
 e soffi di vento, con turbinare violento, li scuotono.
 Inoltre: la stirpe delle belve, che incute paura,
 nemica al genere umano, per terra e per mare perché Natura
 nutre e fa crescere? Perché le stagioni dell’anno apportano
 morbi? Perché s’aggira Morte immatura?
 continuando: il bimbo, come navigante gettato da onde
 crudeli, nudo a terra giace, senza parola, bisognoso di ogni
 aiuto per vivere, ora che appena alle spiagge di luce
 con faticoso parto fuori dal ventre materno Natura ha gettato,
 e di luttuoso vagito riempie il luogo, come è giusto per lui
 cui tanti restano in vita mali da attraversare.
 Ma vari crescono gli animali, gli armenti, le fiere,
 né servono a loro sonagli da bimbi, né alcuno ha bisogno
 di dolce e infantile parlare di buona nutrice,
 né ricercano vestiti mutevoli secondo stagione del cielo:
 e infine non d’armi abbisognano, non di alte mura,
 con cui difendere le proprie cose, poiché per ognuno ogni cosa
 largamente produce la terra stessa, e Natura, artefice delle cose.

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